La stanno scrivendo con le parole e i ricordi,  figure della nostra cultura e società.  Scrivono e raccontano sul saluto: anzi ,di quel saluto entrato a fare parte della memoria. Presto tutto questo diventerà un libro: semplice come i ricordi che conterrà , ma importante per il valore dei contenuti che avrà da trasmettere.

Anche voi potete lasciare il vostro contributo: un pensiero, una breve  storia (max 25 righe),  una poesia che  si aggiungerà alle  testimonianze  contenute nella   prima   "ANTOLOGIA DEL SALUTO" mai   realizzata.

Scrivi alla nostra e-mail : info@boscodellefate.org

con tanti saluti.

Associazione culturale Bosco delle Fate

 

 

 

Antonio Gregolin,  vive a Montegaldella (Vi). Giornalista e fantaecologo, è l’ideatore della campagna SALVA IL SALUTO, partita da un  ridente paese del vicentino, oggi diventato non a caso  il primo “Paese del Saluto” al mondo.

“E’ nata qui – risponde il suo ideatore- perché da tempo, la mia gente, quella semplice della campagna veneta, sembrava aver perso l’attitudine al saluto. Così giustificavo quello che stava accadendo da qualche tempo anche in città. ”

Che fare? La risposta è stata un coro di solidarietà giuntagli anche da personaggi autorevoli e di cultura. Segno questo che il valore del saluto, è un segno di civiltà da difendere e conservare, anche con il tuo aiuto…..Ciao!  

 

Me l’hanno chiesto in molti, il  perché  di una campagna così particolare  in difesa del saluto? La risposta è semplice se si pensa che è nata per strada. Dentro i condomini. Nel mio paese come nelle città. Nelle piazze, come lungo i sentieri di campagna.  Ma soprattutto, è nata tra la gente. Quella ricca o povera. Quella semplice o dotta. Insomma, sono tante le risposte per un problema quotidiano:ci si saluta meno e con sempre  maggior diffidenza. Vi pare? Provate oggi voi a salutare per strada? Rischiate che qualcuno vi rimproveri o vi faccia un chiaro segno di mano che poco ha a che vedere con l’altro segno rappresentato da un saluto. Allora mi dicevo: “sarà forse perché sono di un’altra generazione? Però, ogni volta che usavo la magica formula del salutare,   ciò che ricevevo, era quasi sempre un sorriso come risposta. Ma allora, funziona ancora, mi ripetevo.”

Salutare ha ancora un effetto “salutare” tra la gente.

La prova è quando andiamo in vacanza: stranamente  tutti si salutano. Poi, d’improvviso, tutto passa….

Ve l’avevo detto che era semplice intuire il perché è nata una campagna di sensibilizzazione come questa! Basta sentire le lamentele degli anziani, quando dicono: “Eh, oggi i tosi non salutano più…son senza rispetto!” “Ma dai nonno, – rispondevo io-, prova tu a salutare per primo i giovani? Che forza quel “Ciao”. Che vitalità quel “Buongiorno”. Che cultura dietro quel gesto di mano. Non serve essere dei maghi per  capirne la magia; serve piuttosto essere uomini. Serve credere che al di là della formalità, c’è un gesto che ci apre al mondo. Impossibile dunque, non dire che il saluto è un segno di vita. Ecco perché chi saluta migliora la qualità della vita: quelle dei paesi come delle città. Quelle mani alzate, parlano al cuore e all’intelletto. Come quei gesti di mano lasciati dall’uomo primitivo sulle pareti di pietra nelle caverne. Segni, simboli, messaggi, ma soprattutto gesti di civiltà. Quella civiltà da cui arriva la nostra cultura. Segni antichi, quanto moderni. Ecco perché, ogni qualvolta che devo giustificare questa iniziativa, ricordo la forza che ha quel mio gesto di mano quando, durante le mie passeggiate serali, passo dinnanzi alla casa dove abita la vecchia Maria S. Lei è sempre là, nella sua poltrona davanti alla finestra: tutto il giorno, tutti i giorni. Eppure, qualcosa  di magico accade ogni sera, quando passando le dico: “Ciao Maria!”. Niente di più semplice. Così quando io alzo la mia mano, lei  fa un cenno con la sua. Un gesto rapido, quanto puntuale. Io fuori e lei dentro, eppure mai così vicini…

 

ANTONIO GREGOLIN

 

 

Il cardinale ERSILIO TONINI è il volto noto della televisione. L’uomo amico dei semplici come dei potenti, sulla soglia dei novant’anni, continua a fare  della semplicità la forza  del suo linguaggio. Diretto e chiaro tanto da essere capito indistintamente dai ragazzi come agli adulti. Un uomo che, come rappresentante  della Chiesa di Roma, vede nel saluto un rigenerante grazie alla vita

 

RAVENNA 23 settembre 2003

 

“Ogni giorno, ogni mattina appena apro gli occhi,  il mio primo saluto  va al cielo. E’ un saluto di ringraziamento per la mia esistenza, sapendo che nulla nella vita è scontato. Saluto Dio come mia madre mi ha insegnato fin da piccolo. Con quello spirito che mi porta a “salutare” per i doni che incessantemente riceviamo dall’alto.

Sì, perché il saluto ha in sé anche una profonda radice  spirituale: è lo stupore dell’incontro. Salutare è guardare e aprirsi all’esistenza. Un segno distintivo che ha una tradizione, ma soprattutto, una  personale apertura  che si rinnova in noi ogni giorno. In ogni momento…”

“Se poi fosse solo formalità, il saluto continuerebbe ad impartire riverenza. Comunque, rimane un segno di apertura che lo si pensi in un modo o lo si dica  in un altro.”

“Ho in mente quel particolare modo di salutarsi che si  fa nelle Marche per dire come stai? In molti rispondono: “In grazia di Dio!” Pensate  che forza ha quel salutarsi. Un linguaggio che si trasforma in ricchezza di sentimento.”

“Ciò avviene anche quando incontro la gente durante i  miei spostamenti per l’Italia. In queste occasioni c’è un saluto in particolare che m’impressiona, quello della gente che mi dice : “Ringrazio il Signore, perché lei esiste”.  Ecco la ricchezza di cui volevo parlarvi; ecco come il saluto dimostra che il consumismo non ha logorato tutto! Sì è vero, la televisione mi ha reso un volto noto, ma  non ha cambiato in me il senso del salutare chiunque e dovunque, perché la grazia divina, sta in ogni luogo. In ogni sguardo. In ogni nostro gesto.”

“Ci sono poi gli ultimi saluti, quelli che dobbiamo ai nostri cari: i più dolorosi e doverosi. Ricordo quello che feci a mia madre sul letto di morte. Come anche quel laconico saluto di mio padre che mi disse semplicemente: “Ah, sei qui!”. Furono le sue ultime parole per me; morì tragicamente qualche ora dopo.

Oggi tutto questo continuo a immaginarmelo come un dono; un contributo alla mia esistenza. Un dono del cielo, come l’indimenticabile  saluto che il Papa  mi ha rivolto il Natale scorso. Per alcuni minuti, tenne la mia mano tra le sue, in silenzio. Poi con sottile umorismo aggiunse: “Ecco un cardinale combattente!”, mostrandomi  un sorriso che valeva quanto un saluto. 

 

Testo raccolto da Antonio Gregolin 

 

 

Andrea Zanzotto è una delle più prestigiose anime poetiche del nostro tempo.  Considerato il poeta vivente più valente; il suo racconto di vita, spazia dai sentimenti ai cambiamenti. Critico e fine analista, ha colto nel saluto un gesto di civiltà e cultura  letteraria da Dante fino ai nostri giorni.  

 

 Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand’ella altri saluta,

ch’ogne lingue deven tremando muta / e li occhi no l’ardiscon di guardare.

 

Ella si va, sentendosi laudari / benignamente d’umiltà vestita;

e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare.

 

Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core,

che n’intender no la può chi no la prova;

 

e par che de la sua labbia si mova / uno spirito soave pien d’amore,

che va dicendo a l’anima: Sospira.

 

         Così il saluto di Beatrice nel dettato poetico dantesco: noi restiamo abbagliati dalla sua suprema autenticità. Al polo opposto troviamo ne “I Promessi Sposi” il saluto quasi automatico di Don Abbondio e Don Rodrigo: il povero parroco “non conosceva Don Rodrigo che di vista e di fama, né aveva a che fare con lui, altro che di toccare il petto col mento, e la terra con la punta del suo cappello quelle poche volte che l’aveva incontrato per strada”.

 

Tra questi estremi di colloca il semplice, naturale saluto che da sempre si fa tra persone che s’incontrano, in un clima sociale mediamente equilibrato. Ma questo valore, questo “collante” lieve, non può resistere nella società attuale, divenuta sempre più nevrotica per ragioni ben note: in un’accelerazione ansiosa, tra costrizione di “concorrenza” spesso sleale e spinta a mutamenti socio-economici tanto incerti quanto costrittivi e rapidi.

 

Si rende così opportuno oggi un richiamo all’antica schiettezza e semplicità. Ma non bisogna dimenticare, quante specie di “saluto” vi sono, quante ambiguità, forme di ipocrisia o di larvata violenza: magari nascoste dai sorrisi. La stessa scienza detta “prossemica” ha origine dalla meditazione sul saluto e sugli altri segni di riconoscimento nei rapporti sociali.

 

Per quanto mi riguarda, non ricordo saluti così importanti da cambiarmi la vita ma certo sono stato aiutato, lungo gli anni, da molte forme di saluto, trasmessemi da una comunanza di vita e di idealità, presenti da sempre nelle campane o nelle piccole città. Torni il saluto della “buona educazione”, naturale, in fin dei conti per ogni uomo, come il respiro stesso, e credo, non estinto del tutto nemmeno ora, pur tra tanti volti corrucciati e muti.

Cussì, paesani e no paesani, bondì a tutti…

 

 Andrea Zanzotto

 

 

olo uno con la barba nera e la canottiera anche d'inverno ti saluta con : "buona vita." E' Mauro Corona conosciuto come boscaiolo, scrittore e scultore della valledi erto nelle Dolomiti bellunesi. Un nome che quassù raccoglie tutte le speranza di un paese che non vuol vivere solo di passato.
Lui, che ormai è un affermato scrittore, parla e scrive delle sue montagne  che sono fuori e dentro di se. Racconta della sua gente, della semplicità di quegli anni e dei suoi pensieri. Quella semplicità,  che piace tanto a Corona che cammina e pensa nei boschi, e non nega di saper dialogare con gli alberi. 

Parla della vita e della morte come di quell'ultimo  saluto che molto spesso è un addio:

"Ricordo ancora quel colpo sparato contro la camoscina - racconta Corona-, quando mi avvicinai vidi il suo sguardo che da terrorizzato si faceva sempre più dolce. Aveva assunto un atteggiamento di dolce rassegnazione. I suoi occhi erano l'emblema del suo spirito, fiero ma anche umile. Ormai non potevo fare più nulla, lei stava morendo, lo sentiva e me lo diceva Mi fissava come se volesse salutarmi. Ero solo e quegli occhi mi tormentarono dentro come non mai. Quell'ultimo saluto della camoscina, fu per me anche l'ultimo e definitivo saluto alla caccia!"

Il paese di Erto è un piccolo mondo dove tutto e niente continuano a ripetersi con le regole antiche dei borghi di montagna. Così i saluti della gente, quella poca che è rimasta,  hanno un significato d'altri tempi che si esprime già con il  tono con cui si pronunciano:

"Purtroppo, - racconta Mauro Corona-  lo vedo nei ragazzi che vengono fin quassù con le scolaresche, che nessuno saluta più come una volta…" "La mia è una vita fatta di saluti, per coloro che sono  vivi e per quanti sono i morti. Come il caso di Cice Caprin, un boscaiolo di vecchio stampo che sul punto di morire  mi salutò dicendomi "se veden doman… tornem nel bosco a far legna". Tenevo la mia mano sulla sua spalla, ma erano i nostri sguardi che s'incontravano e si salutavano per sempre. Lui sapeva che stava per congedarsi dalla vita. Sapevamo ambedue che quello non era un addio, ma solo un arrivederci. Sì, perché ci si può salutare anche con uno sguardo!" "Ecco perchè quando saluto - conclude lo scrittore -, guardo dritto negli occhi come fanno gli animali, solo  così puoi capire se colui che ti risponde  è generoso e lo fa col cuore.  Buona vita a tutti!

Testo raccolto da Antonio Gregolin

 

 

  

ra le firme letterarie è forse colui che stigmatizza di più il valore del saluto. Lui, il racconta storie dell'Altopiano che lascia parlare le montagne, gli alberi, le vicende umane. Come un pozzo di memorie, Stern si complimenta da subito per l'iniziativa sul saluto e lo fa alla sua maniera di sempre: raccontandosi. " Era per noi  una speranza! Un qualcosa cosa di grande e forte, poter vedere  quella bambina polacca che ci salutava ogni giorno.  Nel 1943 la Polonia di Hitler, divenne la nostra prigione: sporchi, pieni di pidocchi e malattie  incatenati come cani, percorrevamo ogni giorno la stessa identica strada. Ma ogni giorni quel  qualcosa di diverso era lì ad aspettarci, guardarci e salutarci! Aveva il volto dolce di una bambina bionda che alzava la sua manina. Quasi un angelo. Lei però non sapeva quanto desiderassimo vedere quel suo fare. Non immaginava  quanto la sua presenza fosse una speranza per tutti noi. Attendavamo con ansia ogni giorno quel nostro incontro, fatto a distanza. La sua era la forza semplice di una bambina che si scontrava con l'assurdità dei grandi, dei forti. Aspettavamo che la piccola ci salutasse per continuare a nutrire la nostra speranza di vita!" "Piccoli gesti come questi, - racconta lo scrittore- ne ho parecchi da raccontare, ma forse, quel  saluto così spontaneo e semplice aveva l'incredibile capacità di trasformare la sua innocenza in un gesto, in grado di farci sopravvivere. Quel  saluto valeva una vita." "Un saluto  è un gesto che non costa nulla, ma può dire molto". "Chissà perché oggi i giovani non ci salutano più?" si interroga lo scrittore. "Non so perché e me lo chiedo spesso, senza darmi una risposta."

La montagna sono i suoi ricordi, il suo stile di vita, quello della gente semplice che incontri quando vai in vacanza. Proprio in quei momenti, il saluto ti  viene spontaneo: lo fa il turista come il montanaro, l'anziano come il giovane.  "Io - racconta Stern-, sono uno scrittore  che non viaggia molto, quando lo faccio rimango male ogni qualvolta saluto dei ragazzi che non ricambiano… Forse è  colpa della  tecnologia, di quella fretta di oggi che i fa dimenticare come il salutarsi sia principalmente una forma di rispetto verso gli uomini e il mondo." "Ben venga questa straordinaria campagna per salvare il saluto, non può fare che bene a noi gente di montagna - auspica lo scrittore -, come a quelli di pianura, fino al mare. Salutare, in fondo fa bene a tutti!". "Ciao!" ci dice alla fine  da giovane-vecchio, dalle  vette irraggiungibili delle sue montagne di ricordi.

 

Testo raccolto da ANTONIO GREGOLIN

 

 

 

o visitato con Madre Teresa la sua comunità, a Roma, nella quale cura e assiste malati di AIDS. Eravamo nel dicembre 1996. Piccola, magrissima, un volto con un po’ di pelle attorno alle ossa. Quattro chili in tutto, diremmo noi. Mi ha salutato, tenendo la mia mano tra le sue, rosario compreso. Pregava sempre! Non ricordo niente di quanto hanno dichiarato gli altri presentandomi, e non ricordo nemmeno se Madre Teresa ha detto qualche cosa a me.

Ho guardato le mani secche come le foglie di castagno in autunno. Ho guardato i suoi occhi quasi nascosti dalle palpebre, piccoli, ma terribilmente intensi.

Ho incontrato persone importantissime e mitiche. Da Giovanni XXIII, a Papa Giovanni Paolo, a Tonino Bello, all’Abbé Pierre, a Levi Montalcini, a Gorbaciov, a Muti, a S. Giovanni Calabria, a Padre Pio e altri ancora.

Nessuno ha lasciato dentro di me il segno come Madre Teresa, quasi una cicatrice. Perché non lo so.

Ricordo che imbarazzato e fortemente affascinato, ho solo detto quello che dico quando incontro amici: “ciao”. Dopo, poco dopo, rimpiangendo l’occasione perduta, mi sono sussurrato “Quanto sei stupido!”.

Durante i funerali visti in diretta su molte televisioni, a un certo punto ho sorriso. 

Un prete, vicino a me, si voltò, come per rimproverarmi…Continuai a sorridere.

Ripensavo quell’incontro e al ciao detto a Madre Teresa. Chissà se ricorderà, lassù…quel freddo mattino di dicembre e quel prete un po’ svampito.

 

 

 

n tempo il saluto era un pilastro della buona educazione. Una vignetta anni ’30 di Beppe Novello raffigura un nugolo di parenti supplicanti attorno ad un bimbetto imbronciato che guarda storto un signore in paziente attesa. Spiega la didascalia: il piccino che non vuole fare ciao ciao con la manina al Signor Commendatore. Roba d’altri tempi: oggi gli unici a sbracciarsi per mandare un "salutino" ai parenti sono gli ospiti dello studio televisivo inquadrati dalla telecamera. I bambini moderni non fanno ciao ciao con la manina; senza salutare la mamma o il papà, allungano la manina per farsi dare i soldi. Poi corrono dall’edicolante e, senza degnarlo di un mezzo saluto, comprano le figurine dei Pokemon.

Una volta mi imbattevo in un anziano amico di famiglia: quand’ero piccolo mi lanciava tutti i giorni per aria come una frittella mentre la moglie mi schioccava sulle tempie dei baci spaccatimpani. E’ venuto un giorno, credo capiti a tutti, dove il vecchio entusiasmo svanisce e chi ti faceva piroettare per aria non ti vede nemmeno, figurarsi una stretta di mano o una «come va?». Mi stupiscono molto quelli a cui rivolgi un saluto forte e chiaro e che passano oltre come l’olio sul marmo. Quando ad uno di questi indifferenti stavo per togliere il saluto, qualcuno spiegò che in realtà c’era un problema di vista. Non era indifferenza, era miopia. Apprezzo chi anche più volte al giorno ti stringe la mano; un po’ meno chi ti frattura il pollice e l’indice; e per giunta non molla la presa e ti frattura anche l’anulare e il mignolo. Tra gli adulti niente più inchini, scappellamenti, pacche sulle spalle, abbracci (si abbracciano solo i calciatori), molto lieto, molto piacere, tutti saluti decisamente out. Il Conte Nuvoletti non avrebbe mai immaginato un tale imbarbarimento dei costumi. L’uomo di mondo oggi pronuncia con un certo distacco nome e cognome, senza altro genere di cordialità. Tra chi ancora saluta alla vecchia maniera, aumenta il ricorso al "salve", preferito al freddo buongiorno e al troppo confidenziale ciao. Quando invece si litiga con il vicino di casa cui si è sempre dato del lei, si usa inevitabilmente il tu.E alla fine i "saluti", di un genere molto particolare, si sprecano.

 

di Luigi Baccialli direttore del Gazzettino

 

 

 

 

alutarsi…ah, che bello!" si presenta così Tonino Guerra, uno di quelle poliedriche figure che non sai mai come definire: poeta, scrittore, sceneggiatore, registra, paesaggista o più semplicemente amante della sua terra. Quella S. Arcangelo di Romagna che lui stesso ha contribuito a rendere celebre grazie a particolari iniziative, quali: il giardino dei frutti dimenticati o il museo dell'Angelo coi baffi." La televisione ci ha chiuso in casa, ci ha tolto dalla piazza, dai centri dei paesi e delle città per farci sedere davanti ad una scatola parlante" spiega. "Anche il saluto, quel gesto che si compie più di tutti in piazza, sta forse scomparendo per questo" afferma Tonino Guerra con quel suo tono caratteristico da vecchio racconta storie. "Dappertutto sta venendo meno quello spirito di piazza dove ci s'incontra che piace tanto ai nostri turisti." "Come sarebbe bello, - continua lo scrittore -, se capissimo il gusto della generosità, del dare e comunicare anche attraverso la semplicità di un gesto !" "La nostra è una cultura che nella sua unitarietà continua a dire molto a chi la vuol conoscere; non siamo come gli inglesi che prima di salutare si chiedono chi sei." "Perché nelle scuole - ammonisce Tonino Guerra- non s'insegna questa grazia! Quanto sarebbe bello se nelle scuole si sentisse dire di tanto in tanto dai maestri o professori: oggi avete salutato qualcuno, avete sorriso a qualche anziano, avete fatto un gesto di tenerezza?"

Tonino Guerra si rivolge poi verso quei profili collinari della sua Romagna, dove qua e là sopravvivono alberi secolari e soli: "Dovremmo salutare anche loro, le vecchie piante, così come t'insegnano a fare in Russia." "A quella terra debbo molto e ancor oggi non dimentico lo stupore di uno dei miei primi viaggi a Mosca quando mi hanno invitarono a salutare un vecchio albero. Mi dissero di abbracciarlo - racconta il regista- perché a lui avrei dato il mio rispetto e in cambio avrei ricevuto la sua forza." "Insomma, - conclude Guerra- salutiamo tutti indistintamente, uomini e piante, ma anche fiori o uccelli perché è con questo spirito che riempiamo di bellezza la nostra esistenza." 

 

 

Testimonianza di un fotografo-viaggiatore in America Latina.

 
a bella consuetudine di salutare anche gli estranei che incontri per strada o che ti passano accanto è una caratteristica di uno stile di vita insito nella natura del popolo Maya del Guatemala, (Ladinos inclusi).
Vivendoci a contatto, per lunghi periodi, ne sono stato talmenteinfluenzato, che ogni volta che mi sono ritrovato in Italia, più precisamente nel Veneto, mi sono sentito come un pesce fuori dalla acqua. A malincuore, passato un pò di tempo da ogni mio rientro in Italia, l'erogazione del mio saluto, subiva delle inevitabili riduzioni, per le ovvie ragioni che traspaiono dal nostro contesto Veneto o Italiano. Sarebbe inconcepibile nel Veneto, salvo che per essere considerato un modo fuori dalla norma, adottare il saluto come in Guatemala. La (in Guatemala) il saluto diventa talmente contagioso da mattino, all'alba, alla sera fino al momento di coricarsi, che anche la persona più restia a contraccambiarlo, si ritroverebbe coinvolta dall'atmosfera, al punto da ritenere strano colui che entrando, per la prima volta, in un"Comeador"(Trattoria), non scambiasse i saluti con tutti i presenti, oppure, con tutti quelli che incontrasse sul suo cammino.
Là in Guatemala le persone diverse che ti passano accanto non sono parte di un mondo a sé stànte dal nostro (anche se agli occhi di molti occidentali è così).
Come i Maya di un tempo, così i Maya di oggi hanno sempre avuto un pensiero globalizzante in riguardo all'umanità: un'unica grande famiglia, con vari e distinti nuclei famigliari, intrecciati gli uni agli altri, come una grande tela multicolore e multiforme, in cui si riflette la bellezza dell'opera del Creatore.
Da questa loro concezione promana il loro rispetto e considerazione per tutti gli esseri (comprendendo anche animali e piante); ATTENZIONE verso l'altro, anche diverso, che si riflette nella loro vita di tutti i giorni, con la loro spiccata solidarietà, con le loro cerimonie  di ringraziamento rivolte ai quattro punti cardinali del mondo, nonchè con la loro splendida consuetudine del saluto. Non posso terminare senza inviare i saluti a tutti quelli che mi leggeranno, poichè grazie soprattutto ai Maya, sento nella profondità dell'anima che tutti apparteniamo ad una unica grande famiglia. Per questo, aggiungo anche i miei migliori auguri di Pace, Comprensione e Rispetto per sè stessi e gli altri.
 

 

 

 

stato un profeta della lingua e del sentimento profuso con la spiritualità di un uomo di fede. Che ha avuto il potere di non  trascendere mai tra ciò che sta in cielo e quanto sta  in terra.  Lui che ha scritto lodi di sublime quanto di raffinata bellezza. Pochi anni prima di scomparire, ha scolpito le coscienze con parole che plasmano il nostro essere più profondo e vivo. Parole capaci  di non abbandonarsi mai all'indifferenza dilagante dello spirito del tempo. Un tempo per parlare ed uno per ascoltare. Uno per ridere e uno per piangere.

Lui che da poeta e profeta, fece del suo tempo un segno permanente di  quel  tempo che  ci resta da vivere .

 

Ama

Saluta  la gente

Perdona

Ama ancora e saluta

Dai la mano

Aiuta

Comprendi

Dimentica…e ricorda  solo

il bene.

E del bene degli altri

godi e fai godere .

Godi del nulla che hai.

Del poco che basta.

Giorno dopo giorno: e pure

quel poco - se necessario-

dividi.

E vai,

vai leggero

dietro il vento

e il sole

e canta.

Vai di paese in paese

e saluta.

Saluta tutti:

il nero, l'olivastro

e perfino il bianco.

Canta il sogno del mondo:

che tutti i paesi si

contendano di averti

generato.

 

(p. DAVIDE M.TUROLDO - poeta e scrittore-)

 

 

 

 

o sono, te sei...Ciàciào...

La generale presa di parola passa anche dalle nuove declinazioni.  Come dai
saluti. Ci sono le variazioni del ciao: ciaciào (detto rapidissimamente e
senza pensare), ciaociao (un poco flemmatico e vagamente distratto),
cià-cià-ciào (scandito con rassegnazione) e ciaociao-ciaociao (strascicato
in continuazione, proprio inconsapevole).
Seguono altre moltiplicazioni occasionali che non è opportuno elencare.
Commovente, però, è il "ciao, sai!" in cantilena affermativa o
interrogativa, come dire a discendere o a salire cantilenando. "E te, che ne
pensi, te?" Il tu è stato ormai quasi del tutto abolito: dicono "tu",
qualche volta sbadatamente, ma in luogo di "te", i bambini delle scuole
elementari perché le maestre del Modulo (che ora trepidano nell'attesa della
Grande Riforma), dopo aver nascosto i cognomi hanno abolito il lei. E
credono che questo "tu" reciproco, insieme allo sbadato e concitato ciaciào,
sia capace di creare "un rapporto ideale e simmetrico". Ah, il rapportarsi!
Buongiorno è stato sostituito da buona giornata, ma con le debite porzioni
di buonamattinata, buonpomeriggio, buonaprimaserata, buonasecondaserata. E
l'attesa dei sogni arriva senza più un augurio di buonanotte perché si dice
buonanottata, poi buonasecondanottata (per i discotecantropi) e, sempre per
i giovani tardonotturni (che invidio!), anche buonalba.
Ah, la novità di "buon fine settimana"! Nella furia della ricerca dialettale
nordesta si sente dire "bonluikèn".
In televisione dicono: "Buongiorno dallaaa Tigiuno, dallaaa Tigidue, dallaaa
Tigitre; benvenuti allaaa Tigiquattro, allaaa Tigicinque... Così i
telegiornali sono tutti di sesso dubbio, meglio dire neutro. E c'è una tipa
che sorride "felice giorno, felice notte, felice domenica" anche se deve
annunciare terremoti o quotidiane tragedie di guerra.
Io sono, te sei, ciaciào.
Dalle parti di Belluno ci si saluta con "sani"; i friulani hanno la poesia
di "mandi"; i tirolesi, di qua e di là delle Alpi, usano il saluto della
fede: "Grüss-Gott". È la tenerezza popolare; è la dolcezza delle tradizioni
mantenute, dei suoni che diventano armonia della vita.
I giovani, ora, dopo aver usato per qualche anno il piacevole "salve",
stanno esprimendo un mezzoislamico "Shàllah".
È una grande voglia di pace, di fratellanza, perfino di uguaglianza tra le
genti.
Sorprese e regali sono da tempo accompagnati da un allegro "dadàn".
Imperversa da qualche tempo il "titrovobene". E se si tenta appena di
obiettare, l'indiscreto della diagnosi gratuita insiste a dire "ma sì che
titrovobene, non dire di no...".
Ma che venga pure il te a sostiruire il tu; ma che si allarghi pure la
felicità del ciaciào. Nel saluto, che importa, è soprattutto il sorriso e la

sincerità.

 

 

 

La parola
Storia da un minuto nel tratto da casa a scuola

Di Alessandro Fei, professore di Firenze

E’ ancora notte, quando tu mi sei apparsa, leggiadra e vellutata come una carezza, avvolta nel tepore delle lenzuola e dal dolce abbraccio del piumino, come per dare il benvenuto al nuovo giorno. Lo scalpiccio che proviene dal soffitto, puntuale come un orologio, allontana da me le ultime stille di sonno, dissolve nella realtà i pochi brandelli di sogno rimasti a guardia del mio risveglio.
Mi alzo, cercando di fare meno rumore possibile, ma come sempre Ale, nel dormiveglia, mi saluta con il solito “ti alzi sempre troppo presto...” Le sei e venti. Ha ragione lei, sempre troppo presto. Apro la doccia, lasciando che il trillo della sveglia venga sostituito dal dolce tepore delle gocce d’acqua calda e affidando al vapore il compito del ritorno alla realtà. Nell’impalpabile umidità del bagno, nella dolce nebbia che generosamente mi nasconde allo specchio mi sembra che tu giochi a rimbalzare da una parte all’altra della mia mente.
Già, stamattina ho il compito in classe. E che gli racconto? Allontanati, vattene, ora devo lavorare, mi aspetta la “Simulazione della ‘prima prova’ dell’Esame di Stato”... E’ un quarto alle sette, e non ho ancora pensato a nessun titolo. Certo, deve essere una traccia elegante e densa di significato, non la solita Concezione del dolore in Leopardi e Manzoni, o Il monachesimo imposto nella nobiltà seicentesca ...ma cosa vuoi da me, lasciami lavorare!
Nel buio mi avvicino al tavolo di cucina: Ale mi ha preparato, come sempre, il latte e i biscotti. Mi devo concentrare, anche se sento che qualcosa mi frena. La noia cosmica di Leopardi, no, è banale; Eroismo e pathos nel “Pianto antico” di Carducci, no, troppo tetro... deve essere colpa tua, sì, solo colpa tua.
Accendo la televisione: nemmeno la Rassegna stampa del Televideo mi suggerisce qualche idea. Eppure sento il tuo desiderio di emergere, urli dentro di me il bisogno di sentirti viva, presente... almeno ti conoscessi, ti vedessi. Potrei pregustarti come una bibita fresca in un caldo giorno d’estate, come un caminetto acceso d’inverno, come un’amica che ti telefona all’improvviso, come una canzone di Gaber...
Invece sei lì, ineffabile come un rivolo di fumo: ti percepisco nell’aria, nell’odore dolce e familiare del salotto, nel sapore del latte, nel ticchettio dei tacchi della signora del piano di sopra mentre rifà il letto prima di andare al lavoro, nel risuonare attutito dei piccoli gesti quotidiani che il chiarore dell’aurora esalta e amplifica.
Scendo per andare a scuola senza un’idea sul titolo del tema. Passo a gettare la spazzatura e supero l’angolo della piazza. “Buongiorno, Andrea.” Come al solito l’ortolano è al bar a far colazione. Mi saluta con un gesto della mano. Due passi ancora. “Buongiorno, Stefano.” E’ quasi un rito, ormai, darsi il buongiorno ogni mattina, entrambi con gli occhi assonnati. Anche se sono mesi che non compro un fiore, sento che senza questo quotidiano saluto, questo viatico per la buona giornata le cose andrebbero diversamente.
Tutto è attutito alle sette e mezzo del mattino, quando poche persone sono in giro, quando la routine non ha ancora preso il sopravvento. Entro dal giornalaio. “Buongiorno. La Repubblica, per favore.” La signora mi sorride. “Buongiorno, professore. Allora, il tema lo ha deciso...?” “Eh, sì. Severissimo! Terribile!” Bugiardo! Ancora non lo so! Magari Il senso della morte nella poetica di D’Annunzio... No, non ci siamo.
Ho quasi timore di varcare il ponte sotto la ferrovia: so bene che dietro l’angolo, davanti alla Centrale del Latte ci sei tu, che mi stai aspettando, che mi distogli dai miei pensieri. Sento le voci leggere e gaie dei bimbi delle elementari, dall’altra parte della strada, mentre il profumo delle paste appena sfornate mi avvolge, come tutte le mattine, invitandomi ad una pausa licenziosa. “Buongiorno, professore!”: da lontano i pasticcieri mi salutano. No, grazie, stamani ho fretta, devo decidere la traccia del compito...
Le foglie dei bagolari cadono delicatamente, generando un soffice tappeto non più verde mentre il cielo, lavato da una notte di pioggia, si preannuncia di un azzurro abbagliante. Entro nel giardino: come sempre cerco di schivare la giostra, di acquisire un’aria seria e compassata davanti ai miei allievi di “quinta” che mi guardano spauriti, in attesa di conoscere la traccia...
Mi tornano alla mente i volti sorridenti dei bimbi che scorrazzano in cerchio cercando di catturare la palla al suono delle canzoni, dentro la giostra, simbolo del mondo fatato dell’infanzia.
E’ inutile, hai vinto tu. Seri, compassati, austeri... è più importante mostrarsi come siamo, in pace con il nostro animo e con il mondo. E quindi sono costretto ad obbedirti. Salgo i tre scalini dell’ingresso della scuola. “Buongiorno, Francesca. Buongiorno, Patrizia.” “Buongiorno, professore. Si ricordi di comunicare al Preside il titolo del tema.”
Salgo le scale, e quasi non mi accorgo di essere arrivato in classe. Il silenzio. Tra poco si animerà delle voci dei ragazzi, del fruscio dei dizionari, del crepitio dei bigliettini nascosti nelle tasche o nel risuonare dei computer palmari, in quel piccolo grande rito del compito in classe.
Cancello la lavagna con cura, stando attento che nessun baffo di gesso possa interferire con te, piccola parola, trisillabo che mi hai accompagnato dal risveglio ad ora.
Due virgolette, ecco la traccia del tema: Buongiorno.

 

 

 


 

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