len sìla lùmenn' omentielvo" (una stella brilla sull'ora del nostro incontro), è il saluto più comune nella lingua incantata partorita dal magia geniale di Tolkien.

Più semplicemente, vuol dire "Ciao" in quenya. Un saluto a dir poco fantastico, se  a ripetercelo è uno degli  Elfo o stregoni descritti  nelle pagine  del "Signore degli Anelli". 

 

 

 

ccorre dunque spingersi fin nella "Terra di Mezzo" per sentire il "sindarin", cioè la lingua comune  con il quale gli elfi comunicano tra loro. Così nella sua mente fantastica che l'ha portato alla scoperta di mondi inesplorati, John Ronald Reuel Tolkin, elaborò uno speciale linguaggio fondendo  stili e linguaggi differenti. Il "sindarin", la lingua  più comune tra gli Elfi, è paragonabile al nostro italiano aulico. Una commistione ricercata di vocaboli tra l'antico gallese e i dialetti lapponi (tra cui il Kalevala).

 

 

len sìla lùmenn…", appartiene invece ad un modo di esprimersi più dotto, riservato alla classe elevata della gerarchia fatata. Non a caso il "quenya" equivale al nostro latino da cui s'ispira, attingendo accezioni anche dalle antiche lingue indoeuropee. Questo soprattutto perché il professor Tolkien era un grande conoscitore e studioso di lingue antiche, moderne e dialetti. Dal greco al latino, dal sancrito al norrenico antico (che lui parlava durante le sue lezioni a Oxford), dal gallese al gotico, all'islandese.

 

 

osì mai come questo particolare modo di salutarsi,  diventa un metodo per entrare in contatto con la cultura "fantasy". Un segno di rispetto  di cui però non sanno fare a meno neppure la magica gente della "Terra di Mezzo".

Ancora una volta "il  saluto come gesto di civiltà", può avere modi differenti di dire, lingue impronunziabili e vocaboli persi nella memoria del tempo, come : "Mae govannen nin mellyn" che in sindarin significa < benvenuto>. Oppure, " Nai encenuvalme" che sta per <arrivederci>. Così come "Anar kaluva telyanna" è l'arrivederci degli Elfi in quenya, <il sole risplenderà sul tuo cammino>.

Comunque lo s'intenda o lo si pronunci, il saluto mantiene fede al suo profondo valore  capace di valicare i confini del tempo, come  delle differenti realtà.

 

 

"Elen sìla lùmenn' omentielvo" a tutti.

 

AG